Articolo dell’Avv. Luigi Grillo sul numero 34 (Anno XI, Novembre 2020) della rivista “Abitare Oggi” dal titolo “La tutela della casa e l’essenza dell’abitare”
LA TUTELA DELLA CASA E L’ESSENZA DELL’ABITARE
Confabitare, associazione a tutela della proprietà immobiliare, sta per compiere 11 anni. Ciò è di estrema importanza e deve indurci a fare un’importante riflessione, precisamente a cercare di comprendere come ed in che misura il proprietario, che giustamente tutela, preserva la sua casa che, magari, è a lui costata tanti anni di sacrificio, possa dirsi aver compreso quella che è la vera essenza dell’abitare che è quella che rende la sua casa un bene prezioso e unico, perché lo porta a vivere in equilibrio, in perfetta armonia con se stesso e con gli altri, quindi, con l’ambiente circostante. Per fare ciò, ci facciamo aiutare dalla filosofia e, precisamente, dal pensiero filosofico di Martin Heidegger. Quando, infatti, negli anni cinquanta gli chiesero che cosa un filosofo pensasse della crisi degli alloggi, problema che nel dopoguerra coinvolse numerose città europee, lui rispose con un articolo, precisamente del 1954, che metteva in stretta relazione tre elementi: "Costruire, abitare, pensare". Si dirà che le elucubrazioni di un filosofo che rovescia le ovvietà dei fatti nell'oscurità delle parole sono irrilevanti di fronte al dramma dei senza casa, all'abitare cosiddetto reale. Ma non è questa la forza almeno per alcuni (o la debolezza secondo altri) della filosofia? Ossia di quel sapere che per essere tale non deve servire a niente? In realtà è solo partendo da questo "niente" che il discorso heideggeriano sull'abitare prende corpo. Martin Heidegger, attraverso un’analisi etimologica, rifletteva sul significato dei termini costruire e abitare ponendosi principalmente due domande costituenti cardini della riflessione architettonica: che cos’è l’abitare? In che misura il costruire rientra nell’abitare? Il filosofo, seguendo una visione fenomenologico-esistenzialista, cercava di oltrepassare il rapporto di fine/mezzo che lega convenzionalmente l’abitare al costruire, asserendo che: “Non è che noi abitiamo perché abbiamo costruito; ma costruiamo e abbiamo costruito perché abitiamo”. Heidegger inizia la sua analisi partendo dalla parola tedesca “bauen” che significa sì costruire ma che originariamente era intesa anche come “custodire”, “coltivare”. Essa, quindi, racchiude due significati: quello del costruire, relativo a un creare dal nulla, e quello del coltivare, centrato sul preservare, sul proteggere. Entrambi questi aspetti per il filosofo sono così parte integrante dell’abitare, che è il modo in cui i mortali sono sulla terra, il nostro modo d’esserci, il “dasein”. Secondo Heidegger “la crisi dell’abitare non consiste nella mancanza di abitazioni” ma “nel fatto che i mortali […] devono anzitutto imparare ad abitare. […] Come possono però i mortali rispondere a questo appello se non cercando, per la loro parte, di portare da se stessi l’abitare nella pienezza della sua esistenza? Essi compiono ciò quando costruiscono a partire dall’abitare e pensano per l’abitare”. La grandezza del pensiero del filosofo tedesco risiede, pertanto, nel fatto che egli rammentava che non era rilevante il punto di vista comune secondo il quale abitiamo qualcosa (una casa) solo perché in precedenza qualcuno l'ha costruita. Ma in realtà costruiamo solo perché in qualche modo già abitiamo quello spazio. Agli occhi di Heidegger è questa la differenza fra il semplice abitare e l'essenza dell'abitare. La quale è un aver cura del proprio spazio. Non c'è lo spazio e poi arriva l'uomo che lo abita. «Lo spazio non è qualcosa che sta di fronte all'uomo». La relazione tra l'uomo e lo spazio «non è null'altro che l'abitare pensato nella sua essenza». Non c'è per Heidegger un prima e un dopo, ma un "infra" uno stare nel rapporto, nella relazione. Ovvero il soggiornare presso le cose già da sempre. Ed è un soggiornare che solo la tradizione è ancora in grado di mostrarci. Il mondo moderno, secondo Heidegger, ha separato l' uomo dal suo spazio; ha imposto un rapporto mezzi-fini che necessita di un prima e di un dopo, di un progetto (costruire una casa) e di un fine (abitarla). Ma è questo il modo per imparare ad abitare? Si chiede Heidegger. La risposta è no. E allora «Per quanto dura e penosa, per quanto grave e pericolosa sia la scarsità di abitazioni, l'autentica crisi dell' abitare non consiste nella mancanza di abitazioni. La vera crisi degli alloggi è più vecchia delle guerre mondiali e delle loro distruzioni, più vecchia anche dell' aumento della popolazione terrestre e della condizione dell' operaio dell' industria. La vera crisi dell'abitare consiste nel fatto che i mortali sono sempre in cerca dell' essenza dell'abitare, che essi devono anzitutto imparare ad abitare». La crisi dell'abitare dunque non è tanto, o non è solamente, una crisi di alloggi, una penuria di costruzioni legata a un fattore di economia immobiliare, quanto una crisi dovuta essenzialmente all'instabilità dell' uomo contemporaneo che abita la casa, la città, la metropoli, il paese, senza più radici. Occorre riflettere - suggerisce Heidegger - su questa sradicatezza, se si vuole tornare ad abitare nel senso più proprio dell'oikos o dell'heimat. O magari della polis, quando la città era tutt'uno con il pensiero. In definitiva, ed è questo l’insegnamento fondamentale che i proprietari debbono ricevere e far proprio, al fine di realmente comprendere la preziosità dell’abitare un luogo che, se proprio non possiamo definire il migliore dei mondi possibili, quantomeno possiamo ritenere un buon posto dove poter vivere, possiamo dire che solo chi è realmente capace di abitare può costruire. L’essenza dell’abitare è proprio questo “aver cura delle cose”, un concetto talmente semplice da risultare disarmante, poiché riesce a descrivere in breve e a pieno il nostro modo di stare al mondo, l’unico che realmente conosciamo: l’occuparci con rispetto e devozione delle cose che ci circondano.
Avv. Luigi Grillo
Presidente di Confabitare Napoli